Pagine


giovedì 5 aprile 2012

Birra artigianale

Ci sono birre e birre. Quelle insipide e inconsistenti di produzione industriale, che tutto sommato possono svolgere la funzione di un potente diuretico. E quelle artigianali. Che non si possono descrivere con solo un paio di aggettivi, perché ognuna è fatta a modo suo, e porta dentro di sé le idee, i gusti, l'ispirazione del mastro birraio che l'ha creata.

Ma dove e come è nata la birra?

Molti pensano che la birra sia una bevanda tipica - ed esclusiva - delle terre d'oltralpe, che sia stata inventata in Germania, Inghilterra o in Belgio (dove è la bevanda nazionale) e che solo da quelle parti sia custodito il segreto per fare della buona birra. Ma non è così.

Dove sia nata la birra non è dato saperlo con precisione, sappiamo solo che ad un certo punto della storia, in vari posti nel mondo, l'uomo scoprì la fermentazione.
I primi popoli a fare del mastro birraio una professione furono quelli della Mesopotamia, dove questa figura aveva un ruolo civile riconosciuto. Del resto ai lavoratori di questa zona veniva corrisposta della birra, come parte del compenso per le mansioni svolte. E già all'epoca le birre avevano vari nomi, in base al colore e ai cereali utilizzati.
A Babilonia si bevevano già una ventina di tipi di birra diversi e si narra che la dea Ishtar, divinità venerata nel pantheon assiro-babilonese, traesse la propria potenza dalla birra, e che nemmeno Nusku, il dio del fuoco, riuscisse ad estinguere quella forza. La birra era così importante per i Babilonesi, che punivano chi annacquava quella destinata alla vendita con l'annegamento del colpevole nella bevanda stessa.

Anche nell'antico Egitto si faceva largo uso di birra, i faraoni ad esempio possedevano varie fabbriche che la producevano.
Greci e Romani, presenti nei paesi enonici per eccellenza, amavano consumare birra in occasioni particolari, ad esempio alle Olimpiadi, durante le quali era invece vietato il vino. Personaggi come il governatore romano Agricola e Giulio Cesare (che citava la birra nei suoi Commentarii) erano grandi appassionati di questa bevanda.

Ma già gli Etruschi, prima dei Romani, ne provarono un “prototipo” chiamato “pevakh”, fatto inizialmente con segale e farro e successivamente con frumento e miele.

I Celti abitavano principalmente la Gallia e la Britannia, ma la loro straordinaria civiltà, bagnata di birra fin dai primordi, si sviluppò principalmente in Irlanda. Seconda una birrosa leggenda, si narra che la nascita del popolo irlandese sia dovuta ai Fomoriani, creature mostruose che dovevano potenza e immortalità al segreto della fabbricazione della birra.

Nel Medioevo, la pazienza e la saggezza dei monaci aggiunsero nuovi ingredienti, tra cui il luppolo.

Nel 1516 fu emanato il famoso "Editto della purezza" che codificò in modo definitivo gli ingredienti della birra: malto d'orzo, luppolo e acqua.
Poi con l'arrivo dei forni areati si riuscirono a creare malti tostati sempre più chiari e la classica birra che conosciamo oggi, stile bavarese - "bionda", per usare un termine italiano - è arrivata nei nostri boccali.

La birra oggi, in Italia

La birra che comunemente si beve in Italia oggigiorno è pastorizzata e microfiltrata, e di fatto perde la gran parte del sapore di luppolo e malto e non ha niente a che fare con la birra che l'uomo ha gustato per tantissimi anni su questa terra.
La birra artigianale, spesso chiamata "cruda" o "viva", mantiene invece intatti profumi, sapori e mantiene integri tutti gli ingredienti di cui deve essere fatta una buona birra: ottimo malto, acqua fresca, luppolo di qualità e lievito.

Chi pensa che la buona birra sia solo all'estero, deve ricredersi, anche in Italia si possono trovare birre spettacolari, basta rivolgersi al mercato della birra artigianale. Noi italiani forse non siamo molto bravi a realizzare le macchine, forse non siamo bravissimi a costruire componenti elettronici, ma sicuramente siamo i migliori al mondo per quel che riguarda il buon cibo e il buon bere.
Ci stiamo muovendo a grandi passi verso l'eccellenza e i fatti lo dimostrano, infatti il panorama italiano è in fermento ed è in continua evoluzione e ascesa. Basti pensare che quest'anno per la prima volta un birrificio italiano ha vinto una competizione internazionale di birra: il birrificio del Ducato di Parma. Quest'anno a Rimini, alla Fiera dei Sapori (ex Pianeta Birra), l'area destinata alla birra artigianale italiana era decisamente più viva, ricca di sorprese e di ottima birra, che la classica area internazionale.
I birrifici italiani stanno prendendo piede per coprire questa grave mancanza che per anni ci ha costretti a bere della birra industriale spesso di scarsa qualità.
In Emilia Romagna stanno nascendo tanti birrifici di prim'ordine e ne sono in funzione tanti da tempo: il Vecchia Orsa di Crevalcore e la Statale 9 di Crespellano, che si sono portate a casa una bella medaglia d'oro a testa nella competizione di Rimini.

Quello che forse ancora scarseggia in giro per l'Italia sono i brew-pub, locali che producono birra e la vendono direttamente al pubblico, il posto ideale per farsi una bella birra freschissima appena prodotta.
A tutti gli appassionati di Birra Artigianale ne segnalo uno, con impianto di produzione a vista, che aprirà prossimamente a Bologna: Birra Cerqua. Tutte le informazioni le potete trovare sul sito: BirraCerqua.com
E se passate di lì, chiedete del mastrobirraio...

Evviva la birra artigianale!

venerdì 20 gennaio 2012

Torta di mele con uova scadute e mele vecchie

Da piccola ero famosa in famiglia per la mia abilità nel preparare i dolci, probabilmente ereditata dal mio nonno pasticciere... Ma dall'adolescenza in poi questa mia fama si è completamente ribaltata: sono diventata quella che non sa cucinare, né ne ha voglia. In effetti è così. Anzi la prima affermazione è una conseguenza della seconda.
La creazione più famosa di questo mio secondo periodo è il "dolce al pantano", battezzato così da mio fratello, il giorno in cui ho avuto il coraggio di portarlo a casa dei miei, tutta orgogliosa. A distanza di qualche anno mi chiedo come potessi esserne fiera... si trattava di una struttura ovale, alta al massimo un centimetro, gommosa, di colore grigio... un mix insipido di ricotta gocce di cioccolato e limoncello... che i miei famigliari sono stati costretti a mangiare per non offendermi.

Ma venendo al dunque, in questi giorni sto stupendo compagno e ospiti con piatti semplici e saporiti: orecchiette con cime di rapa, spaghetti alla sorrentina, purè e lenticchie con alloro... e la mia torta di mele, definita "eccezionale" dal mio compagno.

Non che avessi voglia di cucinarla, ma avevo in frigo delle uova scadute da 15 giorni, del burro in scadenza e delle mele ormai mosce... che mi dispiaceva buttare. Ecco la ricetta:

- 3 uova (scadute da 15gg, se una volta aperte non puzzano io le uso sempre per cucinare... mai crude ovviamente)(BIOLOGICHE, DI GALLINE ALLEVATE ALL'APERTO)
- 200 gr zucchero (8 cucchiai grandi)
- 100 gr burro (va bene anche la margarina)
- 1 bustina lievito
- 1 busta vanillina
- 200 gr farina (8 chucchiai grandi)
- 3 mele (le mie erano rosse, farinose, e mosce)
- cannella (non avendola in polvere ho usato mezza fialetta di aroma alla cannella)
- sale
- qualche cucchiaio di latte (da aggiungere se il composto risulta troppo "solido")

Ho tagliato le mele (ovviamente sbucciate e senza torsolo)a cubetti e le ho messe in una ciotola con del succo di limone per evitare che si annerissero. Quindi ho mescolato le 3 uova con i 200 gr di zucchero fino ad ottenere una cremina, quindi ho aggiunto i 100 gr di burro sciolto a bagno maria. Dopodiché ho aggiunto, nell'ordine, lievito, vanillina, farina (quest'ultima lentamente, sempre mescolando), aroma alla cannella, un pizzico di sale e le mele. Ho messo la carta da forno in una ciotola e vi ho versato il composto (in alternativa si può imburrare il fondo della ciotola), quindi ho infornato a 180° per circa un'ora (o forse meno? non ricordo... l'importante è controllare ogni tanto e prima di sfornare inserire uno stuzzicadenti nel centro... se la punta rimane asciutta la torta è pronta).

Purtroppo ho dimenticato di fotografarla, anche perché credevo avrebbe fatto schifo tanto quanto il mio dolce al pantano... e invece!

(Mi sento un po' classica donna da blog culinario con questo post)

mercoledì 27 luglio 2011

Porretta Soul Festival tra emozioni e dolori

E finalmente, sono andata al Porretta Soul Festival. Era dai tempi dell'università che sentivo parlare di questa rassegna musicale, che nella mia ignoranza confondevo un po' con le altre che popolano l'estate di noi italiani, quando non vogliamo andare al mare (Pistoia Blues, Umbria Jazz...)
Quest'anno m'è venuta l'ispirazione e mi sono organizzata con sette amici e il mio cane. Partiti sabato pomeriggio, in auto doppio cd di Otis Redding per entrare nel mood. Era la prima volta per tutti e non sapevamo cosa aspettarci.

Amo Otis Redding, Marvin Gaye, Barry White, Al Greene, Aretha Franklin, ma non sono una grande esperta di musica soul. Non certo quanto gran parte del pubblico che ho incontrato al Rufus Thomas Park: decine e decine di afecionados - età media quaranta/cinquanta - che non si stancano di tornare, anno dopo anno, nonostante gli spazi angusti, i bagni fetenti e le chiappe che si atrofizzano sui gradoni di cemento. E anche per gli artisti, in molti casi, non era la prima volta a "Porreda" (come la chiamano loro). Questo probabilmente fa sì che si crei un "gruppo di amici" che si danno appuntamento in quel grazioso paesino termale sugli Appennini, ogni anno a luglio. Insomma, sotto certi aspetti "se la cantano e se la suonano" mentre i porrettani guardano da lontano, dalle finestre delle case che circondano il parco. E l'impressione che si prova arrivando è un po' quella di entrare in una festa privata. In cui le facce sono quasi sempre le stesse, come quelle del gruppo che si siede sotto il palco e subisce danni irreparabili al fondoschiena pur di stare vicino vicino ai musicisti, ed essere chiamato a ballare sul palco. Mi si chiederà come io lo possa affermare, dato che era la prima volta che ci andavo... ma esiste internet, esiste youtube, e quindi... Ma questa, forse, è soltanto una cattiveria gratuita, che pronuncio perché mi spiace aver scoperto solo ora questo mondo. E poi non posso certo dire di essermi sentita esclusa, di non aver provato forti emozioni nell'ascoltare quelle voci e quella musica.

Tutti noi del gruppo di neofiti giunti da Bologna e da Treviso con furore, ne siamo rimasti entusiasti, colpiti. Chi non riesce a togliersi dalla testa il ritornello della vulcanica Sugar Pie De Santo, In the basement that's where we're at e le sue smorfie, le sue mosse. Chi ha apprezzato le canzoni forse un po' più malinconiche di Percy e Spencer Wiggins, e il completo blu del primo. Chi ha elogiato la voce di Swamp Dogg, che è entrato sul palco con un completo arancio e gli spartiti sotto il braccio, come un pastore col suo breviario. E mi ha stupito quando dopo un'ora seduto alla tastiera gli è venuta la bizzarra idea di alzarsi e venire a stringerci la mano (spero di non essere stata ripresa dalla videocamera mentre con una mano stringevo la sua e con l'altra trattenevo il mio cane per il collare, per paura di qualche "incidente diplomatico"). Per quanto mi riguarda, il mio idolo della serata è Harvey Scales, con le sue scarpe dorate, il suo sorriso e la sua ironia, e la bellissima Disco Lady con la quale ha coinvolto tutto il pubblico in un'allegra danza. E poi McKinley Moore, che ho sentito cantare in piazza prima del concerto al parco: mi ha affascinato la sua voce così simile a quella di Otis Redding. Per non parlare dei musicisti che accompagnavano gli artisti... E ricorderò questa serata anche perché poco prima del concerto abbiamo appreso della morte di Amy Winehouse, che anche Sugar ha ricordato prima di iniziare a cantare. Non ne ero una grande fan, ma la sua morte mi ha colpita ugualmente.

Grande concerto insomma, e serata indimenticabile. Credo e spero ci tornerò ma, la prossima volta, portandomi dietro un cuscino per le mie povere chiappe.

mercoledì 30 marzo 2011

FACCIAMOCI DEL MALE

Domenica di marzo, nonostante il tempo instabile c'è già il desiderio di passare qualche ora nella natura, magari passeggiando tra i ciliegi e i mandorli in fiore, fingendosi per qualche minuto pastori dell'Arcadia. Siamo in quattro e due di noi ancora accusano l'eccessiva dose di alcol introdotta nel corpo la notte precedente. Naturalmente, sono una di questi. Così ci viene in mente di andare "Dal Nonno", ad assorbire i residui alcolici con qualche soffice e calda crescentina, un paio di tigelle, e a far riposare le membra e gli occhi stanchi - ché basta un filo di luce ad offenderli - seduti sulle seggiole del cortile, mentre poco più in là riposano anche le colline bolognesi.

Arriviamo alle 14.30 e vediamo che i numerosi tavoli sono per lo più occupati, mentre altri gruppi - soprattutto di giovani - continuano ad arrivare. Che bello, - pensiamo - nonostante l'ora ci daranno da mangiare!
I camerieri ci passano davanti tre o quattro volte fingendo di non notarci, finché io fermo una ragazzina col grembiulino e lei mi dice che possiamo sederci a quel tavolino che si è appena liberato. Ci sediamo. C'è un clima festoso, poco lontano da noi una lunghissima infinita tavolata di ragazzi e ragazze, avranno sui venti-venticinque anni, tutti belli, "alternativi", gioiosi. E poi coppie, trii, quartetti, tavolate più o meno grandi sparse qui e lì. E quest'aria di primavera... perfino il mio cane ne è travolto, ha addocchiato un bracco femmina di uno stupendo coloro argento, e si chiamano a vicenda mugolando.

Ce ne stiamo lì beati - a parte io e quell'altro, che ha preso una pastiglia per il mal di testa il cui effetto sta svanendo - e intanto i camerieri ci passano davanti una, due, tre, quattro volte. Li chiamiamo, ci ignorano. Un cameriere tarchiatello - che dall'aspetto da nerd ho dedotto che nella vita di tutti i giorni studi da informatico, non so se sistemista o programmatore - mi fa addirittura un cenno con la mano che un po' sembra dire "aspetta" e un po' sembra mandarmi affanculo. Poi finalmente arriva una cameriera un po' più affabile, che prende le ordinazioni e sparisce. Torna subito dopo con le bibite (cosa più unica che rara, solo il mio ragazzo ordina del vino, è lui quello che si regge più in piedi di tutti o forse vuole solo farci sentire delle schiappe mentre in realtà sta peggio di noi) e sparisce di nuovo. Siamo rincuorati dalla rapidità con cui ci hanno portato da bere e pensiamo che dopo tutto ci vuole poco per friggere una crescentina... Ma i minuti iniziano a passare. Sono cinque, poi dieci, poi venti... Dopo mezz'ora sentiamo delle grida di giubilo provenire dalla tavolata dei giovani carini e alternativi. Io mi volto... hanno esultato per l'arrivo del cibo. Ce ne stiamo lì buoni buoni, ad aspettare. Prima o poi toccherà anche a noi questa fortuna. E intanto il tempo passa... diciamo che siamo remissivi perché prima di tutto anche noi abbiamo fatto i camerieri e sappiamo quanto siano noiose le persone che si lamentano e chiedono "scusi, quanto ci vuole ancora?" e poi perché sinceramente un po' eravamo preparati, avevamo letto delle recensioni su internet di gente che c'era stata... e si lamentava - tra le altre cose - della lentezza nel servizio. Io intanto entro in uno stato comatoso, come se tutto l'alcol della notte mi fosse tornato in circolo. Il mio amico, quello messo male quanto me, inizia ad andare avanti e indietro per il cortile. La mia amica, nonché sua ragazza, ad un certo punto va a prendere delle crescentine avanzate - fredde e rigide - ad un tavolo che si è liberato, e le sbrana. Il mio ragazzo tace.

Passa più di un'ora e decidiamo di andare a chiedere... "Mi spiace, è che molti tavoli hanno chiesto delle aggiunte" ci risponde la cameriera che ci ha portato le bibite. Ma che motivazione è questa? Vabbeh, ce ne stiamo buoni, come sempre. Dopo dieci minuti arrivano le tigelle le crescentine i formaggi gli affettati il pesto (lardo) i sottolii etc etc. E tutti iniziamo a mangiare in silenzio. Non mangio carne perciò non posso dare un giudizio in merito. Ma le tigelle sembravano di cartone, il formaggio era insipido, e il mio ragazzo mi ha detto che il vino era scadente. Ma ci siamo ingozzati come dei porci, muti e chini sui nostri piatti, fino all'ultima briciola. Forse la usano come tecnica... ti fanno aspettare così tanto che quando il cibo arriva, potrebbe essere anche una merda al forno, te la mangi di gusto.